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Ragioni difensive che giustificano i diversi assetti fortificati
che si sono succeduti nei secoli
È con l’arrivo dei Romani che Bergamo assunse un impianto
che si può oggi tentare di ricostruire con qualche approssimazione.
Con l’erezione in età augustea del municipium
si ha un termine di riferimento per la datazione delle opere difensive
della città. La nuova cinta si rese necessaria a fronte di
turbolenze politiche interne e di rischi d’invasione che si
andavano delineando. Sebbene l'esistenza delle mura romane sia testimoniata
dagli storici antichi, l’esiguità dei resti ha impedito
agli studiosi moderni di giungere ad una concorde ipotesi ricostruttiva.
Il tracciato poteva includere il colle della Rocca per proseguire
verso sud fino all'attuale piazza Mercato delle Scarpe, dove si
può ipotizzare la porta orientale. Il ritrovamento più
a valle di due tombe potrebbe confermare questo limite della città;
nello stesso luogo fu ritrovata una lapide che ricorda l’edificazione
di due porte, forse in relazione ad un’espansione a sud-est
del colle.
Sempre lungo il lato sud, più ad ovest, si trovano i resti
di un cammino di ronda su archi, forse i tratti meglio conservati
di queste prime fortificazioni, mentre il tracciato sul lato occidentale
non è facilmente individuabile. Si presume che il perimetro
svoltasse nell’area del Seminario per proseguire in linea
fino a piazza Mascheroni, con un altro angolo nei pressi della Porta
di Pantano inferiore. La porta occidentale doveva coincidere con
l'attuale accesso alla Cittadella. Il lato nord è testimoniato
dalle arcate esistenti presso la fontana del Vagine, già
documentata nell'Alto Medioevo. Vi si apriva una porta in allineamento
con il cardo maggiore.
Dopo la caduta di Roma le fortificazioni urbane dovevano aver subito
rifacimenti, pur restando sufficientemente integre da far definire
Bergamo “operibus munitae” da cronisti della
guerra gotica. In epoca longobarda è noto l'episodio legato
al duca Rotari che, in contrasto con il re, nel 700 si rifugiò
entro le difese cittadine, che non ressero all’assedio posto
da quest'ultimo.
Da documenti di epoca carolingia si trae qualche informazione più
precisa: nel 755 la chiesa di S. Lorenzo si trova, a nord, "foris
muros castri nostri Bergomatis". La basilica di S. Alessandro,
eretta nel IV secolo sul sepolcro di un martire fuori la porta occidentale
della cerchia romana, è indicata per la prima volta nel 774
"intra hac civitate".
Con la nascita delle vicinie (unioni di cittadini legati
da vincoli di vicinato e di parrocchia), forse già in formazione
ai tempi del vescovo Adalberto, si ebbero nuovi soggetti importanti
per la finanza e la forza militare del Comune, che si occuparono
fra l’altro della manutenzione delle mura. Ad Adalberto sono
da attribuire non solo il rafforzamento delle difese sul lato occidentale
(il più vulnerabile), ma anche alcuni ampliamenti dell’antica
cerchia romana. In particolare, all'inizio del X secolo la cinta
venne ampliata a sud e a nord, lungo il tratto tra gli archi del
Vagine e la porta settentrionale. Con questi lavori il circuito
si ingrandì fino a comprendere la chiesa di S. Matteo, che
un documento del 1110 ricorda intra civitatem. La porta
settentrionale, detta di S. Lorenzo, è indicata per la prima
volta nel 1030 e coincideva certamente con una delle porte romane.
Tra la porta settentrionale e quella orientale il tracciato venne
conservato per alcuni secoli: solo alla fine del XIII secolo si
estese a nord ad abbracciare il convento di S. Francesco, e solo
con la costruzione della Rocca (1331) arriverà a comprenderne
il colle.
Le mura subirono in età medioevale una serie di addizioni
tese a comprendere nuovi nuclei esterni, i Borghi, che
si erano sviluppati in corrispondenza delle porte urbane: l'espansione
della cinta rivela così la crescita della città.
Il borgo di Canale, sviluppatosi ad ovest, è documentato
fin dall'842. Nel 1256 era difeso alla sua estremità da una
stongarda (una porta fortificata in genere isolata); alla
metà del XIII secolo era dotato di varie porte per l’accesso
al borgo, collegate da un muro. Anche gli altri borghi erano dotati
di simili difese.
Alla metà del XIII secolo a garanzia dello spazio agricolo
della città fu realizzato un sistema fortificato integrato
costituito da canali d’acqua, stongarde, torri e castelli,
di cui rimangono tracce nei quartieri di Loreto e Longuelo; all’inzio
del Trecento Giovanni di Boemia riedificò la Rocca, riutilizzando
anche strutture preesistenti, a difesa e controllo della città.
Con la fine del Comune, Luchino Visconti, divenuto signore di Bergamo,
rafforzò il castello di S. Vigilio (1345) e restaurò
le mura della città. Alla metà del secolo i Visconti
eressero lungo il lato ovest della cinta una imponente cittadella,
la Firma Fides, riutilizzando anche fortificazioni private
preesistenti.
Dalla seconda metà del XIV secolo le difese dei borghi furono
sistemate e integrate a formare le Muraine, inizialmente
costituite da strutture in legno (palizzate e battifredi), poi sostituite
da opere in muratura dai Veneziani (sono note anche come cinta
veneta quattrocentesca). Il circuito includeva i borghi S.
Tomaso, S. Antonio e S. Leonardo, mentre S. Caterina, Palazzo e
Canale ne rimasero esclusi; era dotato di numerose torri (31 quadrate
e 2 cilindriche), merlature, camminamenti per la ronda e fossati
alimentati dal torrente Morla. La nuova fortificazione veneziana
fece sì che le Muraine venissero da allora conservate solo
come cinta daziaria.
All’inizio del Cinquecento apparve chiara l'inadeguatezza
delle vecchie mura. Bergamo, ora città di confine, era sottoposta
a continui saccheggi e si trovava in perenne stato di insicurezza.
Il conte Sforza Pallavicino, incaricato dalla Repubblica, in una
relazione del 1560 definiva la città come facilmente fortificabile
perché costruita su colli, in grado di costituire un baluardo
sul confine con Milano e utile a tenere aperto lo sbocco verso i
Grigioni e il Nord Europa, serbatoi di truppe mercenarie e unico
varco nell’accerchiamento territoriale messo in atto dagli
spagnoli. Nella relazione conclusiva al progetto (1561) lo Sforza
proponeva di costruire una fortezza bastionata, limitata per estensione
alla sola città sui colli.
Le nuove mura dovevano avere un’estensione di 2.944 passi
(5.177 m). Vennero costruiti bastioni e piattaforme, mantenendo
in un primo momento attivi alcuni tratti della cortina medioevale.
Nel 1574 erano stati terminati i dieci baluardi, le cinque piattaforme
e la porta S. Agostino, con il ponte stabile. Nel 1578 si terminò
l'ultimo tratto di cortina sotto S. Andrea; la cerchia era quasi
completa, ma non ancora adatta alla difesa, in quanto solo tre corpi
di piazza erano stati terminati e dovevano ancora essere effettuati
ingenti lavori di completamento.
Alla morte del conte Sforza il Senato veneto deliberò di
completare l'opera, incaricando dei lavori il Savorgnano; nel 1590
il capitano Alvise Grimani poteva annunciarne il prossimo completamento,
pur indicando ulteriori lavori necessari: la sistemazione della
fortezza sul colle di S. Vigilio, del Forte di S. Marco, la costruzione
della strada e del ponte a porta S. Giacomo. Le nuove mura richiesero
complessivamente 29 anni di lavoro ed un costo pari a un milione
di ducati; risultarono così imponenti da ottenere il risultato
di scoraggiare le aggressioni, tanto che non vennero mai assediate.
Nel disegno generale della fortificazione era stato confermato per
il forte di S. Vigilio (noto anche come la Cappella) il
ruolo di roccaforte esterna. Un primo accenno alla necessità
di un suo rafforzamento si ebbe nel 1578, ma la comprensione della
sua funzione chiave nel sistema difensivo della città si
ebbe nel 1581. Fu quindi completamente ristrutturato, pur rimanendo
esposto ai tiri dai colli vicini e privo di un collegamento sicuro
con la città per i rifornimenti, realizzato solo nel 1607-1612,
in occasione di ulteriori lavori di rafforzamento.
A partire soprattutto dal XVIII secolo la città andò
progressivamente riappropriandosi degli spazi delle mura. Gli spalti
furono utilizzati come discarica per materiale di demolizione; nel
tratto fra porta S. Agostino e porta S. Giacomo il materiale era
stato addirittura livellato per facilitare il transito delle carrozze,
e vi si trovavano giardini, scarichi di terra e una cava di pietre
che avevano occupato gli spazi riservati alla difesa. Quando i francesi
entrarono in città cessò, con la fine della dominazione
veneta, anche la funzione militare delle mura. Le spianate delle
piattaforme e dei baluardi e la fascia di terra attorno alle mura
vennero utilizzati per l’impanto di coltivazioni agricole;
fu allestita una passeggiata con giardini nel tratto fra porta S.
Agostino e porta S. Giacomo. Nel 1825 il Comune entrò in
possesso degli spalti, costruì una strada da porta S. Giacomo
a porta S. Alessandro e sistemò il piazzale di Colle Aperto;
il Demanio volle però mantenere la proprietà sulle
strutture, ponendo vincoli all’utilizzo di mura, bastioni
e sotterranei. Per tutto l'Ottocento le mura, come era avvenuto
per le Muraine, mantennero esclusivamente il ruolo di barriera daziaria.
Si curò quindi di conservare in buono stato la muraglia per
impedire che fosse superata clandestinamente.
Pur essendo rimaste molto tempo senza manutenzione le mura resistettero
a lungo senza guasti di rilievo. L'unico importante crollo risale
all'aprile 1826 quando rovinò un tratto sotto il Seminario.
L'ultimo intervento di rilievo risale al 1908, con l’apertura
della strada da Colle Aperto a Castagneta, che comportò la
demolizione di un ampio settore della muraglia.
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